” S. MICHAEL ARCHANGEIUS TERRAE METEUANICI PROTECTOR. “
Origini della devozione all’Arcangelo Michele
Alle stesse origini di Montelanico risale la devozione al proprio Patrono “…et in Castro Metellanici Ecclesiae Sancti Angeli…”
Cosi Lucio III nel 1182 confermava la giurisdizione al vescovo di Segni della piccola chiesa posta sul colle S. Angelo fuori le mura, isolata su uno sperone tufaceo con una morfologia orografica comune ai siti che riflettono il patronato di S. Michele Arcangelo, la cui devozione è largamente presente nel circondario lepino come nel basso Lazio.
Di origine bizantina, il culto a San Michele trae origine da quello di Sant’Angelo nel promontorio del Gargano. Secondo la tradizione agiografica, alla fine del secolo V il vescovo di Siponto, Lorenzo Maiorana attribui la resistenza opposta ai barbari: dalla sua città, alla miracolosa apparizione dell ‘Arcangelo Michele ed in una grotta di un monte consacrò nel 493 una chiesa che divenne il “santuario nazionale” dei Longobardi italiani, i quali nel secolo successivo fondato il Ducato di Benevento: nei pressi di Siponto risultarono vittoriosi contro i Saraceni attribuendone ancora una volta il merito all’Arcangelo fissandone la festa il giorno della vittoria: 8 maggio, ricorrenza che da allora si diffuse in Lombardia ed altrove rendendola universale e cosi conservatasi fino ai nostri giorni Sovrastante l’ingresso della chiesetta vi era l’effigie di San Michele Arcangelo in atto di calpestare il drago; anche al centro dell’abside, le decorazioni in alto, mostravano l’effigie di San Michele che pone in fuga i demoni. Nella pavimentazione centrale venivano tumulati “fanciulli e zitelle” mentre al lato esterno sinistro un piccolo cimitero era per “i forestieri”.
Cosi si doveva presentare nel suo insieme la chiesa di Sant’Angelo fin dagli inizi del secolo XVII e successiva metà quando cioè la chiesa prese il definitivo nome di S Michele Arcangelo. A cambiare l’antico appellativo, spezzando una tradizione cosi radicata occorse un avvenimento di eccezionale gravità: la peste Anno 1656: la peste bubbonica propagata in Italia da alcuni soldati spagnoli in breve tempo si diffuse nello Stato Pontificio e nelle località della Campagna Romana. Imponenti e ferree le restrizioni impartite per arginare il contagio: le porte dei paesi furono chiuse: quelle di Palestrina addirittura murate, nessuno poteva recarsi a Roma, isolati i pastori sui monti, impedito l’uso delle mole di Maenza e Gavignano, le uniche funzionanti senza l’uso dell’acqua, vietato il commercio.
La giustizia si fece intransigente: carcerazione ai disubbidienti condotti in prigione senza essere toccati, a chi tentava la fuga, gli si poteva sparare alle spalle ! Le trasgressioni si colpivano con la forca ! Su chi occultava casi di malattia o speculata sulle disgrazie altrui, furono anche eseguite condanne a morte.
La peste per fortuna duro pochi mesi, dal settembre 1656 ai primi mesi dell’anno seguente, ma la mortalità fu altissima: ad Artena i morti furono 163, a Velletri 2716, a Carpineto ben 1500 abitanti furono seppelliti in fosse comuni al disastro umano si aggiunse quello economico con un indebitamento per la comunità per oltre 50 ani.
In questo scenario abbruttito di dolore, come non ricordare quei martiri lepini che si prodigarono a soccorrere gli infermi caricandosi sulle spalle cadaveri impestati e sacrificando per loro la propria vita: P. Lucido da Carpineto, Fr. Corrado e San Carlo da Sezze (“la peste di San Carlo”).
Anche Montelanico non dovette essere risparmiato da questa ondata epidemica non possiamo però quantificare il danno mortale poiché nel più antico Liber Mortuorum, che va dal 1618 al 1692, c’è un vuoto dal 1620 al 1670, periodo che ci interessa direttamente. Valga quindi la tradizione del popolo, voce storicamente sempre attendibile, che tramanda “solo qualche caso di morte“, grazie anche a particolari provvedimenti igienici ed alcune cautele che, secondo quanto riferito dai più anziani, costrinsero i forestieri particolarmente i carpinetani di passaggio per Montelanico, a sottoporsi ad una profilassi a base di “fumeggi” praticati nel vano retrostante la chiesa del Soccorso, fuori dell abitato.
San Michele Arcangelo, Patrono di Montelanico
Nella desolazione della morte: impotente ed inutile ogni cautela e risorsa umana. non rimase altro che aggrapparsi al soprannaturale: propiziarsi la clemenza del proprio Santo a soccorso e protezione di calamità coleriche. In questa dolorosa circostanza, subita con danni limitati, i montelanichesi ravvisarono l’intervento celeste dell’Arcangelo Michele che apparve loro sulla sommità del vicino colle di Pruni che sovrasta l’abitato: “San Micchiele, ‘ncima a Pruni, co la spada scacceva la peste!” Alla peste e particolarmente a quella del 1656 dobbiamo far risalire la devozione montelanichese al suo Patrono. E’ ancora la voce della tradizione a tramandarci l’esistenza di una statua dell’Arcangelo per oltre due secoli portata in processione, prima che venisse sostituita nel 1867 con quella attuale, una “macchina” stile impero in legno dorato con quattro colonne scanalate, opera di un artigiano di Acuto che da quel lontano paese della Ciociaria otto montelanichesi a spalla trasportarono fino a Montelanico. Alla basa del tronetto fu posta una iscrizione latina che tradotta cosi recita : “La gratitudine della popolazione al loro Patrono celeste San Michele per la grazia ricevuta quando la peste infieriva su città e castelli” vale a dire all’epoca ricordata alla stessa tradizione popolare quando “San Micchiele da ncima a Pruni co la spada scacceva la peste”.
Fu da questo momento che la chiesa S. Angelo si chiamò San Michele Arcangelo ed in seguito affrescata come relazionato nel 1727 in occasione della visita pastorale del vescovo di Segni: “In alto alla tribuna e abside dell’altare maggiore, vi era un dipinto di San Michele Arcangelo che pone in fuga i demoni”. Si ricorda ancora di una statua andata distrutta, che rappresentava San Michele Arcangelo con il drago infernale sotto i piedi e di un quadro ad olio posto sopra la porta d’ingresso della chiesa, raffigurazione che tra l’altro presenta in basso a destra, a testimonianza del patronato, una rara veduta di Montelanico del secolo scorso, tuttora custodito nella cappella laterale destra della chiesa del Soccorso.
La comune iconografia di San Michele si rifà al prototipo quadro di Guido Reni conservato nella chiesa dei Cappuccini in via Veneto a Roma la cui commissione gli fu affidata dal card. Antonio Barberini, cappuccino devoto al quale l’artista scriveva “Vorrei possedere un pennello divino per dipingere la bellezza dell’Arcangelo Michele, ma a me non è dato dipingere in cielo, né in terra mai potrò trovare tale bellezza“; ma l’Arcangelo gli riusci davvero bene, anche la bruttezza del diavolo. Meno soddisfatto fu il card. Giovan Battista Pamphily: futuro papa Innocenzo X poiché i tratti del demone vinto mostravano una inequivocabile somiglianza con i suoi: un Papa sosia del demonio !
“Questo Popolo fedele !”
Dall’orribile esperienza del colera, la devozione montelanichese al suo celeste Patrono crebbe e si saldò per sempre: il nome e l’immagine del Patrono entrò a familiarizzare con i fedeli; la chiesetta, già parrocchia San Michele Arcangelo: preso il suo nome, (operante dal ‘600 fino al suo abbandono con il terremoto del 1915. unificata poi a quella di San Pietro nel 1929 e quarant’anni dopo soppressa dal vescovo Carli), si colorò della sua immagine: presente anche agli eventi giubilari del 1700 come emblema della potente ed antica confraternita del Gonfalone : “Con i confratelli con sacchi bianchi e portavano un vago stendardo, da una parte del quale vi era dipinta la Madonna Santissima che proteggeva sotto il suo manto molti confrati e dall’altra parte v’era dipinto San Michele”.
Dunque la Madonna del Soccorso, che già da molto tempo aveva una confraternita e San Michele Arcangelo erano eletti Patroni di Montelanico, quest’ultimo festeggiato in due ricorrenze, la prima l’8 maggio e l’altra il 29 settembre come da calendario liturgico: vissuta forse più intensamente in quanto nella processione vede sfilare anche la macchina della Madonna del
Soccorso ed ultimamente anche quella del SS. Salvatore. Tuttavia era la festa di maggio, una volta la più seguita preceduta da una novena, prevedeva la processione una tombola: concerti e caratteristici giochi pirotecnici “la fontana” eseguiti da due gruppi opposti posizionati presso la fontana del Biondi con bengala e torce che bruciando cambiavano colore. Caratterizzava la festa “jo ramaglio”: l’albero della cuccagna posizionato all’inizio di via Madonna del Soccorso vicino ad un vecchio fontanile.
Nel mese di maggio la chiesetta del Santo Patrono era meta per le figlie di Maria che vi si recavano per la recita del rosario, vi si celebrava la festa della Pentecoste con una processione ora scomparsa: e la festa della Madonna del Santo Amore ad opere dell’omonima confraternita. La vigilia della festa poi: su quella stradina di campagna acciottolata con le bianche pietre del Rio, Montelanico, come molti altri paesi, ha nel proprio stemma
comunale San Michele con la differenza che l’Arcangelo è argentato (e non dorato) ed il drago è privo di ali.
Lo stemma di Montelanico o come amavano chiamarlo gli antichi il “Sigillum terrae“: ha una lunga e complessa vicenda durata 35 anni. Il primitivo progetto proposto dall’allora Amministrazione Comunale, ricordava l’arma dei Doria Pamphily, ex feudatari: ma era un progetto ex novo quando invece dovevano “essere eseguite accurate ricerche fra gli attui antichi del Comune” provandone resistenza per almeno 100 anni allo scopo di scoraggiare qualsiasi intervento innovativo.
Su documenti antichi veniva riscontrato l’uso di due stemmi entrambi raffiguranti S. Michele Arcangelo nel gesto di colpire con la lancia, posta nella mano destra: la testa del drago, mentre sulla mano sinistra regge la bilancia: dall’anno 1709 e tutto l’anno 1805 il primo più piccolo: di forma tonda; con la scritta marginale “Protege Nos” (proteggi Noi), l’altro leggermente più grande e dalla forma ovale reca scritto : “S. Michi Arch. Terrae Metellanici Prot” (S Michele Arcangelo Protettore della Terra di Montelanico). Nel 1970 il Comune di Montelanico ebbe r approvazione per il riconoscimento dell ‘attuale Gonfalone.